
NASCITA: 31 ottobre 1896, Buenos Aires, Argentina
MORTE: 15 novembre 1944, Ushuaia, Argentina
VITTIME: 4 accertate
SOPRANNOME: El Petiso Orejudo
METODI DI UCCISIONE: strangolamento, affogamento, oggetti contundenti (soprattutto pietre)
Cayetano Santos Godino nacque nel 1896 a Buenos Aires da genitori italiani immigrati dal paese di San Demetrio Corone nel 1888. I genitori si chiamavano Fiore Godino e Lucia Rufia e avevano altri sette figli: il padre era un alcolizzato, malato di sifilide e picchiava ripetutamente i figli. Sin dall’infanzia Godino uccise gatti ed uccellini, mostrando un comportamento violento ed una predisposizione alla piromania; ripetutamente punito a scuola, fu costretto a cambiare molto spesso istituto
Il 28 settembre 1904, a otto anni non ancora compiuti, Godino portò Miguel de Paoli, un bambino di appena ventuno mesi, in un posto isolato, lo colpì e lo gettò in una fossa piena di spine, tuttavia non riuscì a ucciderlo a causa dell’intervento di un poliziotto che si era accorto dell’accaduto. L’agente portò i due bambini alla stazione di polizia, dove vennero ripresi dalle rispettive madri alcune ore più tardi.
L’anno successivo, nel 1905, seguendo lo stesso modus operandi, colpì ripetutamente con una pietra la vicina Ana Neri di soli diciotto mesi, ma anche in questo caso il tentativo di omicidio venne fermato dall’arrivo di un poliziotto che, resosi conto dell’accaduto, arrestò Godino, che, anche in quell’occasione, venne rilasciato la notte stessa dalle forze dell’ordine a causa della sua giovane età.
Il 29 marzo del 1906 Cayetano Santos Godino, a soli nove anni di età, commise il suo primo omicidio: portò una bambina di tre anni in un luogo isolato dove tentò di strangolarla ma, non riuscendoci, la seppellì viva. Questo omicidio fu scoperto solo dopo l’arresto definitivo di Godino nel 1912 e la bambina fu identificata in Maria Rosa Face per la quale era stata presentata una denuncia di scomparsa in quel periodo e che non era mai stata ritrovata, tuttavia, l’identificazione non è del tutto certa perché nel luogo in cui il “Petiso Orejudo” sosteneva di avere sepolto la sfortunata bambina nel frattempo era stato costruito un edificio di due piani e, dunque, non fu possibile ritrovare il cadavere della piccola.
Il 5 aprile 1906, ignaro del fatto che avesse commesso un omicidio, Fiore Godino portò il figlio alla stazione di polizia sostenendo che il ragazzino fosse totalmente ribelle all’autorità paterna e che molestasse i vicini in varie maniere senza che si riuscisse a correggerlo e chiedendo, pertanto, alle forze dell’ordine che fosse rinchiuso per il tempo che avessero ritenuto più opportuno. Cayetano venne, quindi, rinchiuso per due mesi e mezzo in prigione.
Il 9 settembre del 1908 portò Severino Gonzàles Calò, un bambino di due anni, in un magazzino e lì tentò di affogarlo immergendolo in un abbeveratoio per cavalli, tuttavia il tentativo di omicidio venne scoperto e sventato dal proprietario del locale, Zacarias Caviglia; Cayetano, allora, si difese sostenendo che a mettere il bimbo nell’abbeveratoio fosse stata una donna vestita di nero, di cui fornì una descrizione, venne, quindi, portato alla stazione di polizia e liberato il giorno seguente. Il 15 settembre dello stesso anno provò a bruciare le palpebre di Julio Botte, di ventidue mesi, ma venne scoperto dalla madre del piccolo e fuggì.
Una settimana più tardi i suoi genitori lo portarono nuovamente alla stazione di polizia per affidarlo alle autorità, il ragazzo venne quindi trasferito nel riformatorio di Marcos Vaz , dove rimase per tre anni, fino al 23 dicembre del 1911, quando venne scarcerato su richiesta del padre.
Dopo che Cayetano uscì dal carcere i suoi genitori gli trovarono lavoro in una fabbrica, tuttavia venne licenziato dopo appena tre mesi.
Il 17 gennaio del 1912 Godino diede fuoco ad un deposito di Calle Corrientes; il “Petiso Orejudo” ammise la propria responsabilità per questo crimine dopo il suo arresto definitivo nel dicembre dello stesso anno dando alla polizia la seguente motivazione: “Mi piace vedere i vigili del fuoco al lavoro; è bello vedere come si gettano tra le fiamme”.
Il 25 gennaio Godino uccise Arturo Laurora, un ragazzo di tredici anni, il cui cadavere fu trovato il giorno seguente in una casa abbandonata seminudo, con segni di strangolamento e un pezzo di corda attorno al collo.
Il 7 marzo diede fuoco al vestito di Reyna Bonita Vainicoff, di cinque anni, provocandole gravi ustioni, a causa delle quali la bambina morì in ospedale sedici giorni più tardi.
Nei mesi seguenti causò due incendi che vennero controllati facilmente dai pompieri senza che ci fossero vittime.
Il 24 settembre mentre lavorava nel magazzino di Paulino Gomez uccise con tre pugnalate una cavalla, ma non fu arrestato per mancanza di prove. Il giorno seguente diede fuoco ad una stazione dei tram, incendio controllato solo grazie ai pompieri.
L’8 novembre tentò di strangolare Roberto Russo, che venne salvato dall’intervento di un lavoratore del luogo che portò Godino alla stazione di polizia da cui, però, venne rilasciato, per mancanza di prove.
Il 16 novembre colpì Carmen Ghittone provocandole alcune ferite, intervenne, però, un poliziotto e, quindi, Cayetano fugge.
Il 20 novembre rapì Catalina Naulener che iniziò a gridare riuscendo a richiamare l’attenzione di un vicino che andò a salvarla: anche in questo caso, il “Petiso Orejudo” fu costretto a fuggire. A fine novembre diede fuoco a due magazzini ma entrambi gli appiccamenti, grossolani, vennero rapidamente spenti.
Il 3 dicembre incontrò Jesualdo Giordano mentre giocava sulla porta di casa: lo convinse a farsi seguire in una fattoria vicina dopo avergli comprato delle caramelle. Dopo averlo fatto sdraiare per terra, provò a strangolarlo con la corda che usava come cintura per i pantaloni. Il bambino fece resistenza quindi Cayetano tagliò due pezzi della corda con un fiammifero acceso e li usò per legare mani e piedi del bambino. Poco dopo cominciò a picchiarlo, ma presto gli venne l’idea di piantargli un chiodo nel cranio. Uscendo dalla fattoria per cercarlo, incontrò il padre del bambino che gli chiese se avesse visto il figlio. Cayetano rispose negativamente e, dopo aver trovato il chiodo, rientrò nella fattoria, lasciando il padre speranzoso di rivedere il figlio vivo. Non trovando un martello, iniziò a colpire il chiodo con una pietra, coprì il corpo con uno straccio e uscì dalla fattoria. Il cadavere fu trovato pochi minuti dopo dal padre della vittima, tornato a controllare nella fattoria. Alle otto di sera Cayetano si trovò alla veglia funebre di Jesualdo e, avvicinandosi alla bara, gli toccò la testa per controllare l’effetto del chiodo ma non trovandolo chiese che fine avesse fatto: in tal modo si fece scoprire dalla polizia che lo catturò. Alle 5 del mattino circa del 4 dicembre confessò ogni suo delitto agli inquirenti.
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